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Il governo della Rete ecologica del Vallo di Diano

Durante tutta la sua lunga storia e in misura sempre più accelerata a partire dalla
cosiddetta Rivoluzione Agricola (Neolitico), l’uomo ha saputo forzare, grazie a continue
innovazioni tecnologiche ed organizzative, i limiti allo sviluppo -demografico e dei
consumi- che la natura imponeva attraverso la limitatezza delle risorse non rinnovabili,
la lentezza dei fenomeni che rigenerano quelle rinnovabili, i condizionamenti climatici e
le leggi ecologiche che legano tra loro, con inesorabili rapporti di dipendenza, le varie
specie viventi.
Mettendo in atto questa “lotta per l’affermazione” l’uomo non ha fatto altro che
seguire una tendenza geneticamente iscritta in ogni specie vivente ed una legge
fondamentale della evoluzione della vita sul pianeta Terra. Ma a rendere unico il caso
dell’uomo sono state le sue capacità di percepire e giudicare coscientemente gli esiti
delle scelte compiute e di immaginare e progettare sul lungo termine. Per millenni
queste capacità “aggiuntive” della nostra specie hanno costituito per essa solo un
vantaggio, mettendola in grado di adattarsi a vari contesti climatici ed ecologici, di
superare crisi e di soddisfare le esigenze di una popolazione in crescita esponenziale.
Ma negli ultimi decenni, quelle stesse capacità intellettive lo hanno anche portato a
sviluppare delle inedite, inquietanti preoccupazioni e dei sensi di colpa più o meno latenti.
Ciò è avvenuto quando all’acuirsi delle problematiche ambientali si è congiunto il
perfezionamento degli strumenti di monitoraggio e previsione scientifica, per cui -sia pure in
ritardo- ci siamo accorti che i nostri ritmi di consumo delle risorse e di modificazione degli
equilibri ambientali avevano superato una soglia critica; quella oltre la quale il sistema
globale (Madre Natura) non riesce più a garantire, con i suoi meccanismi di
autoregolazione, il mantenimento delle condizioni ambientali necessarie alla sopravvivenza
della nostra specie. In altri termini, ci siamo accorti di essere usciti dalla fase in cui, come
ogni altra specie vivente, potevamo considerare il mondo come una risorsa infinita ed
inattaccabile (per cui ogni nostra azione di sfruttamento era lecita e priva di rischi) per
entrare in una fase in cui la natura ci appare finita e debole, per cui sta a noi (o, almeno,
anche a noi) di mantenere gli equilibri ambientali da cui dipendiamo.
E’ stato come uscire da un’infanzia spensierata ed entrare in una maturità gravida di
responsabilità e preoccupazioni. E’ una transizione psicologica epocale che, se è giunta a
livello di lucida consapevolezza solo di recente, trova i suoi segnali premonitori già
nell’antichissimo racconto della cacciata dal Paradiso Terrestre (uscita dalla fase di
spensierata sottomissione alle leggi ecologiche) a seguito di un Peccato Originale nel quale
potremmo leggere la “scelta” dell’uomo di forzare i limiti (divieti) imposti dalla Natura.
A prescindere dalle diverse opinioni scientifiche, filosofiche e religiose che si possono
avere circa la genesi della “eccezione umana” e circa la ineluttabilità o meno delle
vicende che ci hanno gradualmente portato al punto di crisi in cui siamo, resta fermo il
fatto che solo una catastrofe globale potrebbe riportarci -con tutte le drammatiche
conseguenze del caso- alla consistenza demografica ed ai livelli di impatto ambientale
che avevamo millenni orsono. A parte il fatto che niente ci autorizza a credere che
l’umanità sopravvissuta non ripercorrerebbe più o meno gli stessi errori già fatti, la
“soluzione” per regresso da catastrofe globale non se la augura certo nessuno, se non
come sfogo verbale durante certe crisi di rabbia.
Non ci resta, dunque, che andare avanti. Ma in un modo profondamente diverso da
quello sin qui seguito: ponendo al primo posto tra le priorità quella di ridurre
gradualmente (e più in fretta possibile, che il tempo scarseggia!) il consumo di risorse

ed il nostro impatto sull’ambiente. Quanto riusciremo a ridurre i sacrifici che questo
nuovo corso imporrà, in termini di demografia e di sicurezza e comodità di vita,
dipenderà solo da quanto saremo bravi nell’eliminare i consumi inutili e da quanto
saremo capaci di trovare nuove soluzioni ad antiche esigenze. Soluzioni che dovranno
essere di minimo impatto, minimo consumo e massima sinergia con i fenomeni naturali
che concorrono a mantenere le variabili ambientali entro valori consoni alla vita della
nostra e delle altre specie.
Certo, si tratta di un cambiamento da effettuarsi su scala globale, come di ordine
globale sono i problemi cui esso intende far fronte. Ma ogni cosa globale è fatta (e non
può essere che così) da tante cose locali. Ecco dunque che ai protocolli internazionali,
alle direttive comunitarie ed alle leggi e disposizioni nazionali devono far seguito (ma
potrebbero anche anticiparle!) concrete iniziative di enti e comunità locali, come quella
di cui tratta il presente volume.
Il territorio della Comunità Montana Vallo di Diano è una di quelle aree del meridione
d’Italia che hanno sofferto di una sostanziale esclusione dal processo di trasformazione
industriale che il Paese ha conosciuto nell’ottocento e, ancor di più nel corso del
dopoguerra. Come contropartita di questa esclusione e della emigrazione che essa
innescò, esso si trova ad avere un carico demografico contenuto, un ambiente sano ed un
territorio che è ancora ricco di spazi ad elevato grado di naturalità; a tratti ancora
selvaggio. Come si dimostra con dovizia di dati nel primo volume di questa serie (La rete
ecologica del Vallo di Diano) l’area è ricca di biodiversità e può quindi dare un
importante contributo alla salvaguardia degli equilibri ecosistemici garantendo alla
regione degli elevati valori di “resilienza”, vale a dire di capacità dell’ambiente di
ritrovare l’equilibrio dopo un una perturbazione venuta dall’esterno, quali quelle a
impatto antropico.
In questa pubblicazione, sono stati raccolti gli esiti del lavoro di ricerca svolti
nell’ambito del progetto “Sviluppo sostenibile nella filiera turistico-culturale” fornendo
una documentata “fotografia” delle criticità esistenti su quel territorio per quanto
riguarda l’ecosistema e l’ambiente, passando poi a illustrare gli strumenti operativi
adottabili per una gestione in chiave eco-sostenibile dei siti Natura 2000 (aree ad
elevate valenza naturalistica secondo le direttive CEE “Habitat 92/43” e “Uccelli
79/409”). Tra le tante utili indicazioni che il libro fornisce, voglio in particolare
ricordare quella che evidenzia come una distribuzione “ad isole” degli habitat naturali
li rende molto più vulnerabili rispetto a situazioni di maggiore continuità spaziale. Ne
deriva l’importanza di evitare la eccessiva frammentazione degli ecosistemi, mettendo
freno alla tendenza verso la distribuzione irrazionale e dispersa dei vari usi del suolo.
Per i suoi contenuti, l’opera si configura come un vero e proprio reference book per
tutti coloro che hanno un ruolo tecnico e/o decisionale nel campo della pianificazione
territoriale e della programmazione di forme di sviluppo locale eco-compatibili e
sostenibili, ovverosia coerenti con la necessità di non dissipare (ma, anzi, di mettere a
frutto) il prezioso patrimonio di biodiversità che possiede il Vallo di Diano e, quindi, la
comunità che lo abita.